2014 – I locali e l’ispirazione

Set 17, 2014 | Le guide ai Locali Storici

Ascoli Piceno. Ai tavolini del Caffè Meletti, si dice che il compositore Pietro Mascagni abbia iniziato a scrivere il dramma lirico “Lodoletta”.

Bassano del Grappa (Vicenza). La grappa figura in primo piano in “Addio alle armi”, in cui Ernest Hemingway fortifica i suoi personaggi prima delle battaglie, militari o amorose, con abbondanti bevute. Lo scrittore la scoprì, ne apprezzò gli effetti e ne venne ispirato alla Grapperia Nardini sul celebre Ponte degli Alpini, dove faceva spesso sosta per un bicchierino, seduto proprio di fronte lungo il muro, quando era di stanza a Villa Ca’ Erizzo sulle rive del Brenta, volontario come autista di ambulanze della Croce Rossa durante la prima guerra mondiale.

Bergamo. Nella seconda metà degli Anni Venti del Novecento, la Pasticceria bar Cavour, nella città alta, era uno degli antichi locali dove s’incontravano a rimare i poeti vernacolari e gli uomini di cultura artefici del “Ducato di Piazza Pontida”, istituzione nata nel 1924 per la difesa delle tradizioni culturali bergamasche, creatrice di preziose antologie di poesia locale e oggi associazione culturale che promuove e diffonde la poesia e il teatro dialettale.

Bologna. Il commediografo e poeta Alfredo Testoni, autore del grande successo teatrale del 1905 “Il cardinale Lambertini”, assiduo frequentatore del Panificio Pasticceria Paolo Atti & Figli, dedicò all’amico Paolo Atti una poesia in onore dei suoi tortellini, firmata dalla “Sgnera Cattareina” (la signora Caterina) famosa protagonista dei suoi apprezzati sonetti umoristici in bolognese. La poesia è raccolta nel volume “Bologna in cucina: ricette di famiglia dal 1880”, di Beatrice Spagnoli, nel capitolo delle “Zirudèle bolognesi (1900-2008)”, poesie e sonetti che famosi poeti dialettali del passato e cantori contemporanei hanno dedicato al locale e alla famiglia, al timone da un secolo e mezzo.

Castiglioncello (Livorno). All’Hotel Miramare, nel 1962, ha fatto sosta l’intera troupe del celebre film “Il sorpasso”: qui, ogni mattina e ogni sera, si discutevano, aggiustavano e amalgamavano sceneggiatura, capacità interpretative, ritmi, inquadrature, prima del set di riprese.

Chiaramonte Gulfi (Ragusa). Il giornalista, scrittore e saggista Giuseppe Fava, scomparso per mano della mafia, nel suo giornale-simbolo “I Siciliani” ha lasciato un delicato diario di viaggio degli Anni Ottanta del Novecento sulla scoperta del “re della salsiccia”, che narra l’incontro con il cavaliere La Terra e le prelibatezze e la storia della sua Trattoria Majore.

Chiavari (Genova). Il poeta, giornalista e commediografo Vito Elio Petrucci, sostenitore e divulgatore del dialetto e della cultura genovese, amava sostare all’Osteria Luchin, dove scriveva e pianificava anche la sua seguita trasmissione televisiva sulla storia di Genova e alla cui celebre farinata ha dedicato una breve poesia nel 1987.

Cogne (Aosta). Durante la seconda guerra, il celebre pianista Arturo Benedetti Michelangeli si rifugiò all’Hotel Bellevue, dove continuò a perfezionare il suo tocco e la raffinatezza interpretativa suonando il pianoforte che, ancora oggi, viene utilizzato in sala da pranzo.

Cortina d’Ampezzo (Belluno). Nel 1948, Ernest Hemingway scese all’Hotel de La Poste. Conosceva bene Cortina e la amava perché poteva scrivere tranquillo; e amava l’albergo perché il barman Renato lo ascoltava per ore. Occupò la 107, che oggi è dedicata a lui. La moglie Mary si ruppe una caviglia sciando e stava molto in albergo; lui era sempre in camera a scrivere e non voleva essere disturbato per nessuna ragione. Tranne poi passare ore al bar o correre a incontrare Adriana Ivancich. Stava nascendo “Di là dal fiume e tra gli alberi”. Lo ha raccontato nel 2012 la proprietaria Marisa Manaigo in occasione della commemorazione di Hemingway a Cortina.

Ferrara. Il poeta e commediografo Ludovico Ariosto, autore dell’Orlando Furioso, rende omaggio all’Hostaria del Chiuchiolino – oggi Osteria Al Brindisi – ricordandola nella sua più felice commedia “La Lena”, del 1528, “fabula amorosa” a lieto fine ambientata a Ferrara.

Firenze. Piazza della Repubblica – un tempo piazza Vittorio Emanuele – con i suoi tre celebri Caffè, ha vissuto una storia della nostra cultura durata mezzo secolo. Nel fermento intellettuale che animava il celeberrimo Caffè Giubbe Rosse a inizio Novecento, vennero concepite due riviste d’avanguardia. Nel 1908, Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini, con la consulenza di Benedetto Croce, diedero vita a “La Voce”, rivista di cultura e politica tra le più importanti del Novecento, creata per raggiungere tutti gli intellettuali e rinnovare la classe dirigente del Paese; uscì fino al 1916; sulle sue pagine, nel 1910, Ardengo Soffici scrisse la celebre stroncatura della prima mostra di pittura futurista a Milano, scatenando la reazione di Marinetti, Boccioni e Carrà che lo raggiunsero a Firenze e lo aggredirono con uno schiaffo mentre sedeva proprio alle Giubbe Rosse in compagnia dell’amico scultore Medardo Rosso e si scatenò un pandemonio in tutta la piazza. Lasciata La Voce, Papini e Soffici, nel 1913, progettarono e lanciarono la rivista letteraria “Lacerba”, che si riconciliò e aderì entusiasta al Futurismo e, dopo un anno, se ne ridiscostò polemicamente. Quando volevano lavorare tranquilli, i redattori della Voce e poi quelli di Lacerba si trasferivano al dirimpettaio Caffè Paszkowski e spesso Prezzolini e i suoi redattori migravano anche al vicinissimo Caffè Gilli, frequentato da persone più “ordinate”. Sempre alle Giubbe Rosse, nel 1938, Alfonso Gatto e Vasco Pratolini diedero vita alla rivista “Campo di Marte”, diretta da Enrico Vallecchi e con firme di altissimo prestigio, che camminò in senso contrario alla cultura fascista e visse solo un anno, sospesa dalla censura di regime alle soglie della seconda guerra mondiale. L’Hotel Monna Lisa in Borgo Pinti, nell’Ottocento era l’elegante palazzo dove viveva e aveva lo studio lo scultore neoclassico Giovanni Duprè: tuttora dei suoi discendenti, è come un affascinante museo.

Gardone (Brescia). Al Grand Hotel Gardone, il Premio Nobel Paul Heyse scrisse due racconti pubblicati nel 1902 nelle “Novelle dal Lago di Garda”, entrambi ambientati nell’albergo.

Genova. Un’intera lettera di Giuseppe Verdi all’amico conte Opprandino Arrivabene, datata 6 gennaio 1881, è dedicata alla Confetteria Romanengo: “Caro Arrivabene, nemmeno per sogno ho voluto “confutarti”. Vivendo tra queste “dolcezze” non m’ero mai accorto che Romanengo sapesse condire tanto squisitamente ogni sorta di frutta. Me lo dissero alcuni di Parigi a cui avevo mandato di quest’opere di Romanengo. Fatta questa scoperta ho voluto fartene parte”. Notare il piccolo errore del Maestro, che usa il termine “condire” al posto di “candire”. Molti riconoscono la Confetteria Romanengo, che ha una storica sede anche nell’elegante via Roma, in uno dei tre misteriosi protagonisti della canzone “Parlando del naufragio della London Valour, nellalbum Rimini del 1978, del cantautore Fabrizio De Andrè: “Il pasticciere di via Roma sta scendendo le scale / ogni dozzina di gradini trova una mano da pestare / ha una frusta giocattolo sotto l’abito da tè”.

Milano.  Al Caffè Campari, progenitore del Camparino in Galleria Vittorio Emanuele, il drammaturgo e patriota Felice Cavallotti stilò alcune righe premonitrici di poesia il 5 marzo 1898, il giorno prima di morire in duello a Roma; il ventisettenne Umberto Boccioni, colpito da un fatto di cronaca, immortalò l’ingresso del locale nel celebre capolavoro futurista “Rissa in Galleria” del 1910. Lo scrittore verista Gerolamo Rovetta, acuto osservatore e psicologo, trovò le ispirazioni per i tipi del suo romanzo “La baraonda”, del 1894, durante le frequentazioni al Caffè Cova, che allora aveva sede accanto al Teatro alla Scala. Il filosofo e scrittore contemporaneo Franco Bolelli ha il suo secondo studio alla Pasticceria Cucchi e ogni giorno si ferma qui a lavorare a tavolino; il celebre acquarellista Giulio Falzoni, tra i maggiori del Novecento, scendeva qui tutti i giorni, e anche molte volte: gli ultimi vent’anni, fino al 1978, visse all’ultimo piano dello stesso palazzo e considerò il locale come parte del suo studio di pittore.  Il Bar Jamaica, leggendaria fucina di cultura degli Anni Cinquanta-Sessanta del Novecento, frequentata dalle menti che gravitavano intorno all’Accademia delle Belle Arti di Brera, con la sua varia umanità sempre in fermento, ha ispirato grandi fotografi come Ugo Mulas, Mario Dondero, Alfa Castaldi, Carlo Orsi, Uliano Lucas, Giancarlo Moroldo, che hanno lasciato testimonianze straordinarie delle frequentazioni del locale. Nel 1908, al Ristorante Savini, Filippo Tommaso Marinetti, che aveva casa in via Senato, durante agitati e memorabili dopocena insieme alla sua brigata, che annoverava Cinti, Russolo, Pratella, Buzzi, Boccioni, Carrà, lanciò la “cucina futurista” e preparò le prime battaglie che portarono alla pubblicazione del celebre “Manifesto per il Futurismo” che sbalordì l’Europa.

Montepulciano (Siena). Il drammaturgo e scrittore Luigi Pirandello sostava volentieri al Caffè Poliziano di Montepulciano, dove si recò in villeggiatura i primissimi anni del Novecento, perché quello era posto elettivo per catturare dagli avventori quella espressività della lingua parlata che trasferì nel dialogo dei suoi personaggi. Qui prendeva appunti su uno dei celebri taccuini, veri e propri prontuari di forme gergali e modi idiomatici colti.

Napoli. Nel 1885, la notissima coppia di giornalisti Edoardo Scarfoglio e la moglie Matilde Serao – che nel 1892 fonderà il quotidiano Il Mattino, pilastro del giornalismo italiano – progettò e inaugurò al Gran Caffè Gambrinus il suo primo giornale, “Il Corriere di Roma”, di stampo letterario più che giornalistico, che conteneva articoli di critica letteraria, racconti e romanzi a puntate, frutto anche delle collaborazioni degli uomini di cultura che frequentavano il celebre locale di piazza Plebiscito. Nel 1892, quand’era giovane redattore del neonato quotidiano Il Mattino di Napoli, Gabriele D’Annunzio amava sostare al Caffè Gambrinus, dove si riuniva l’intelligenza della città. Un giorno, a tavolino, venne simpaticamente sfidato dal collega giornalista e poeta Ferdinando Russo, autore di famose canzoni, a comporre una canzone in dialetto napoletano: il Vate, in un attimo, gli consegnò il testo di “A Vucchella”, che Russo conservò fino al 1904, quando lo diede a musicare al maestro Francesco Paolo Tosti e divenne un successo dell’Editore Ricordi, inciso anche dal tenore Caruso. E. A. Mario, al secolo Giovanni Ermete Gaeta, tra i massimi autori della canzone napoletana e del patriottico quasi inno nazionale “Leggenda del Piave”, amava ogni tanto sostare e scrivere le sue rime sotto la veranda del Ristorante La Bersagliera, nel borgo di Santa Lucia, affacciata sul porticciolo di Borgo Marinari, dove una lapide ricorda la sua canzone immortale “Santa Lucia luntana”, dedicata al dramma dell’emigrazione.

Padova. Il primo luglio 1845 uscì il primo numero del settimanale “Caffè Pedrocchi”, creato ai tavolini del Caffè Pedrocchi da Antonio Berti, Jacopo Crescini e Guglielmo Stefani: conteneva una lirica del poeta Prati “In riva all’Adige” e il programma della settimana. Tra rime, burle verso la polizia austriaca e conseguenti sospensioni delle pubblicazioni, arrivò al 1848 e diede un grande contributo alla preparazione della sommossa padovana contro l’Austria. Nel 1917, dopo la sconfitta di Caporetto, quando si trasferirono a Padova il Comando supremo italiano e i Comandi francese e inglese, la Società del Casino Pedrocchi, al primo piano del Caffè, insieme all’alta ufficialità, accolse i corrispondenti della stampa italiana che qui scrissero e lanciarono le notizie al Paese: c’erano nomi illustri come Antonio Baldini, Luigi Barzini, Arnaldo Fraccaroli e Renato Simoni. Nel 1962, il poeta Corrado Govoni creò ai tavoli del Pedrocchi “Il Sestante letterario”, bimestrale di lettere e arti.

Palermo. Richard Wagner terminò il Parsifal al Grand Hotel et Des Palmes, dove era sceso con la seconda moglie Cosima e i figli durante l’inverno 1881-82. Pierre-Auguste Renoir andò a fargli visita proprio il giorno dopo che aveva finito di scriverlo; tornò di corsa il giorno successivo e, in una seduta di 35 minuti, dipinse il celebre ritratto del compositore conservato al Musée d’Orsay a Parigi, nel quale Wagner, scherzosamente, si vedeva con l’aspetto di “un pastore protestante”. 

Pisa. Il compositore Giacomo Puccini era amico della famiglia Piegaja, proprietaria dell’Hotel Royal Victoria, e ne frequentò spesso la casa, che era in un’ala dell’albergo: la nonna degli attuali proprietari, raccontava che, in una di queste occasioni, quand’era bambina, il Maestro la portò con se’ al pianoforte e improvvisò per lei alcune note chiedendole se le piaceva ciò che stava componendo: quelle note sarebbero divenute un’aria della Madame Butterfly. Al Caffè dell’Ussero Renato Fucini scoprì la sua vena poetica; Giosuè Carducci, dopo aver superato con lode un esame alla Scuola Normale Superiore, corse qui e improvvisò un poema eroicomico: “Eroe dell’epopea, ch’io un po’ cantavo, un po’ declamavo, era un vaso etrusco personificato, il quale entrava nell’Ussero e spaccava le tazze, i gotti, e simili buggeratelle moderne”. John Ruskin lo frequentò e, nel suo “Diario”, ci ha lasciato l’unica descrizione dell’insegna originale, che rappresentava un soldato su un cavallo rampante, che venne gettata nell’Arno dalla folla quando si vendicò su qualunque cosa potesse ricordare la dominazione austro-ungarica.

Rapallo (Genova). Nel 1952, scrittore statunitense Thornton Wilder, vincitore di tre Pulitzer, durante la permanenza all’Excelsior Palace, lavora alla commedia “The Matchmaker”, che fu un successo di 486 repliche a Broadway.

Recco (Genova). Il cantautore genovese Ivano Fossati, sul suo disco “La pianta del tè”, del 1988, ringrazia pubblicamente il Ristorante Ö Vittorio per averlo ispirato; il cantautore e pianista statunitense Gregory Darling, che oggi vive a Recco, s’innamora del ristorante e registra qui il videclip del suo brano di maggior successo “Angel of Mercy”, del 2006, utilizzando il pianoforte che tuttora è in una sala, con un ringraziamento nel suo disco “Shell”.

Rimini. Il Grand Hotel Rimini iniziò a far sognare il regista Federico Fellini già quand’era un ragazzino e lo osservava al di qua della cancellata: gli rese omaggio rendendolo immortale nel film Amarcord e scendendo non appena poteva.

Roma. Antico Caffè Greco di via Condotti: Casanova ne parla nelle sue “Memorie”; a Ludwig Passini ispira l’acquerello “Gli artisti tedeschi al Caffè Greco”, del 1855 circa, conservato alla Kunst-Halle di Amburgo; una targa ricorda che l’esule Nikolaj Gogol, scrittore e drammaturgo, scrive qui la maggior parte del romanzo “Le Anime morte”, del 1842; Guttuso lo immortala nel suo dipinto “Caffè Greco”, conservato al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, in cui ritrae, simbolicamente uniti, l’assiduo De Chirico, Apollinaire, Buffalo Bill e turisti giapponesi. Lo scrittore Manuel Vásquez, ispirato dal gustoso ricettario del Ristorante Checchino dal 1887, lo fa ricordare a pagina 24 al protagonista del suo libro “Montalbán Millennio – Pepe Cavalho sulla via di Kabul”, del 2004.  Lo scrittore polacco Henryk Sienkiewicz soggiornò nel 1893 all’Hotel d’Inghilterra, come ricorda una targa apposta sulla facciata: era la seconda visita nella Capitale e sicuramente iniziò a elaborare l’idea che lo portò, due anni dopo, alla stesura del romanzo storico “Quo Vadis?”, ambientato nella Roma di Nerone, che gli valse il premio Nobel per la letteratura nel 1905.

Sant’Andrea in Percussina (Firenze). L’Albergaccio era la dimora di Nicolò Machiavelli, dove venne confinato dai Medici con l’accusa di congiura: qui, nel 1513, scrisse “Il Principe”, famoso trattato di dottrina politica, dedicato poi a Lorenzo de’ Medici con la speranza di riacquistare l’incarico di segretario della Repubblica che aveva prima dell’esilio.

Sirmione (Brescia). La scrittrice inglese Naomi Jacob, nel 1930, si trasferì a vivere a Sirmione, per la salute e per l’ispirazione. La signora Micky, come la chiamavano affettuosamente, spesso lavorava al Caffè Grande Italia e strinse affettuosa e duratura amicizia con la famiglia dei proprietari, i Pagiaro, di cui ha lasciato testimonianza nell’autobiografia “Me. A Chronicle about Other People”.

Sorrento (Napoli). La scrittrice francese Marguerite Yourcenar scrisse all’Hotel Bellevue Syrene gran parte di “Colpo di grazia” del 1938, il romanzo che colpì per la spietatezza e l’assenza di tenerezza con cui raccontò l’amore di una donna che si annienta per un uomo incapace d’amare. Nel 1876, Wagner decise che avrebbe ripreso e concluso il Parsifal quand’era ospite al Grand Hotel Excelsior Vittoria, folgorato anche dal misticismo che respirò nella chiesa del Convento dei Carmelitani, che sorge vicino all’albergo; in quell’occasione, dopo alcuni incontri, si ruppe l’intesa intellettuale col filosofo e amico Friedrich Nietzsche, che alloggiava in una vicina pensione e che iniziò ad accusare Wagner di essersi arreso alla retorica religiosa. Sempre all’Excelsior Vittoria, nel 1985, soggiornando nella lussuosa suite dove alloggiò il tenore Enrico Caruso, il cantante Lucio Dalla compose di getto il suo capolavoro “Caruso”. L’autore di “L’ultimo dei Mohicani” James Fenimore Cooper, nell’estate 1829, durante la sosta di tre mesi nella Villa Tasso dell’Hotel Imperial Tramontano, in uno studio con splendida vista su Napoli, concepì il racconto “The Water Witch”; la scrittrice americana Harriet Beecher Stowe, nota per il capolavoro “La capanna dello zio Tom”, trovò ispirazione per il racconto “Agnese di Sorrento”; il drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, nel 1881, soggiornò sei mesi e terminò qui il dramma borghese “Gli spettri”.

Stresa (Verbania). Hemingway soggiornò al Grand Hotel Des Iles Borromées alla fine della Grande Guerra, giovanissimo, quando era convalescente dopo essere stato ferito a Fossalta di Piave, dove era volontario come autista di ambulanze della Croce Rossa, e poi ancora nel 1948: l’albergo e il lago lo conquistarono al punto che li rese immortali nel suo capolavoro “Addio alle armi”, scritto in parte proprio sulla terrazza dell’hotel. La sua camera, la 106, è oggi la richiestissima Hemingway Suite.

Torino. “Signore e signorine / le dita senza guanto / scelgon la pasta. Quanto / ritornano bambine!” Il ricco ed elegante poeta crepuscolare Guido Gozzano amava sostare al Caffè Baratti & Milano di piazza Castello e qui compose lo scherzo in rima “Le golose” che prende in giro il comportamento infantile delle eleganti signore davanti al piacere di una dolce ghiottoneria. Giacomo Casanova cita espressamente il Caffè Ristorante del Cambio nelle sue famose “Memorie”. Mario Soldati lo descrive affettuosamente nel racconto “I passi sulla neve”, pubblicato in “Storie di spettri” del 1962; sempre al Cambio ambienta alcune pagine del romanzo “L’incendio” del 1981. Lalla Romano lo definisce “luogo magico, specie d’inverno” in un brano di “Un sogno del nord”, del 1989. Il celebre epigrammista ottocentesco Antonio Baratta, bizzarro e poverissimo, visse pernottando e scrivendo i suoi versi nei caffè di Torino; amava il Caffè Fiorio e lo coinvolse in un gustoso epigramma, dedicato alla morte di un suo nobile cliente, che trascorreva nel locale le sue giornate “digerendo” e basta: “Sia leggiera la terra al conte Onorio / La cui morte, ahi dolore! un vuoto grande / Su le panche lasciò del Caffè Fiorio”. Il comico Erminio Macario, quand’era a Torino, sostava molto volentieri al Caffè Mulassano, perché dalle vetrine riusciva a osservare la gente che passava sotto i portici di piazza Castello e trarre dal vero divertenti spunti per i suoi personaggi. Il tormentato scrittore Cesare Pavese amava sostare e scrivere al Caffè Platti dove s’incontrava anche con l’editore Giulio Einaudi, con la cui casa editrice collaborò a lungo. Fondatore del Partito Comunista d’Italia, il giornalista, filosofo e politico Antonio Gramsci, tra il 1916 e il 1920, tutte le sere di una “prima” si appartava subito dopo teatro al suo tavolino al Caffè San Carlo, dove scriveva il pezzo “critico” per il Grido del popolo e il foglio piemontese dell’Avanti! Qui, nel 1919, ebbe anche l’idea di fondare il periodico di cultura socialista “L’Ordine Nuovo”. Il giornalista e scrittore Mario Gromo, in una memorabile pagina della sua “Guida sentimentale” del 1929, ha fissato una bellissima immagine del San Carlo com’era quando lo frequentava assiduamente prima delle bombe della seconda guerra mondiale.

Trieste è la città italiana che forse più conserva ancora il piacere creativo della sosta al Caffè. Un gustoso interno del Caffè Tommaseo è stato dipinto dal pittore giuliano Vittorio Bolaffio, che lo frequentò durante i primi decenni del Novecento; tra le due guerre, si svolgevano qui i geniali incontri del poeta Virgilio Giotti e degli scrittori Giani Stuparich e Pierantonio Quarantotti Gambini; negli ultimi anni del secolo scorso, era facile trovare lo scrittore Fulvio Tomizza lavorare a tavolino. Quando abitava in Barriera Vecchia, dal 1910 al 1912, James Joyce faceva pochi passi e s’infilava ogni giorno alla Pasticceria Pirona, che era dall’altra parte della strada e dispensava ottimi liquori e vini scelti: confortò così il travagliato periodo di creazione di “A Portrait of the Artist as a Young Man”, il cui manoscritto finì nella stufa in un momento di sconforto e venne salvato dalla sorella Eileen. A presentare Alberto Pirona allo scrittore irlandese fu l’amico Alessandro Francini Bruni, redattore del “Piccolo Sera”.

Venezia. Lo scrittore francese Alain Buisine, cultore della città, in “Ciels de Tiepolo” del 1996 racconta un suo risveglio all’Hotel La Calcina e cita il poeta Henri François Joseph de Régnier, autore di “L’Altana ou la Vie vénitienne”; per un trentennio La Calcina è stata anche luogo di soggiorno e ispirazione dello scrittore, saggista e filosofo francese Philippe Sollers, autore, tra l’altro, di La Fête à Venise” del 1991 e “Dictionnaire amoureux de Venise” del 2004”. La scatenata scrittrice francese George Sand – al secolo Amantine Lucile Dupin – nelle “Lettres d’un voyageur”, descrive il romantico tramonto sulla laguna che vedeva dal balconcino della camera d’angolo dell’Hotel Danieli – oggi la richiestissima numero 10 – dove, nel 1834, consumò la tempestosa passione con l’aristocratico poeta e scrittore Alfred de Musset. Carlo Goldoni, che frequentava sin da ragazzo il Caffè Florian, incastonato nelle Procuratie Nuove, osservando gli avventori e seguendone la moltitudine di storie, pettegolezzi, scandali, racconti, traeva personaggi e note satiriche per le sue commedie, prima fra tutte “La Bottega del caffè”. Gasparo Gozzi lo frequentava per raccogliere notizie, ciance, polemiche, ma anche pareri per recensioni e critiche teatrali che scriveva da solo e pubblicava sulla sua “Gazzetta veneta”, esempio di moderno giornalismo che, tra il 1760 e il ‘61, uscì il mercoledì e il sabato e venne redatta e venduta proprio al Florian. Al Gritti Palace, dopo una sosta al ristorante sulla terrazza e una bottiglia di Valpolicella, Ernest Hemingway saliva un piano e, nella sua suite, scriveva parti di “Di là dal fiume e tra gli alberi”, ispirato dalla relazione che aveva con la nobile Adriana Ivancich. Nel 1980, fu lei a rivelare a “People” che si videro per l’ultima volta proprio sulla terrazza del Gritti nel 1955, dove Hemingway si commosse. Durante i sei periodi che trascorse a Venezia per riposarsi, dal 1858 al 1883, Richard Wagner frequentò volentieri e sempre più spesso il Caffè Lavena di piazza San Marco, dove aveva il suo tavolino, all’esterno e all’interno. Qui, durante la prima sosta veneziana, nella tranquillità della loggia superiore, ultimò il duetto d’amore del secondo atto di “Tristano e Isotta”. E, in seguito, più volte lavorò anche alla lunga e sofferta stesura del “Parsifal”. Tchaikowsky lavorò all’orchestrazione della sua “Sinfonia n. 4” durante la permanenza all’Hotel Beau Rivage nel mese di dicembre 1877 (oggi Hotel Londra Palace) e completò i primi tre movimenti. Aveva chiamato la sinfonia “Do Leoni” (i due leoni) in onore del leone di San Marco e del leone rampante inglese. Una targa ricorda il grande compositore e la camera 106 che occupò è oggi la “Suite Tchaikowsky”. Il poeta vittoriano Robert Browning, celebre per suoi monologhi drammatici capaci di rivelare anche il carattere di chi parla, durante le amate permanenze a Venezia frequentò e ricordò nelle sue opere la vivace osteria del Lido, allora in aperta campagna, antenata dell’Albergo Quattro Fontane. Lo scrittore e critico letterario americano Henry James era innamorato di Venezia e vi sostò più volte: nel 1881, in una pensione sulla Riva degli Schiavoni, oggi Hotel Wildner, tra il chiacchiericcio e il passare delle navi, portò a termine il suo romanzo più noto, “Ritratto di Signora”.

Villafranca (Verona). Nel 1923, il filosofo Giuseppe Rensi, la cui vastità di pensiero è tuttora da approfondire, scrisse ai tavolini del Caffè Fantoni L’irrazionale, il lavoro, l’amore”, del quale il locale conserva il manoscritto.

New York (Stati Uniti). Igor Stravinsky, che amava molto le donne, una sera si presentò al Barbetta Restaurant insieme all’affascinante Rita Hayworth e, ispiratissimo, compose e trascrisse al volo una melodia sul libro delle firme illustri. La poetessa statunitense Edna St.Vincent Millay, premio Pulitzer nel 1923, che nei primi Anni Venti del Novecento “molto, molto povera, ma molto, molto felice” visse a New York al Greenwich Village anche al mitico 75½ di Bedford Street, la casa più stretta della città, era assidua del Caffè Reggio con il suo fedele taccuino.